La cultura come valore economico e sociale: mecenatismo ed erogazioni liberali di Claudio C. Corduas
“Con la cultura non si mangia!”. Questa frase, attribuita ad un ministro italiano dell’Economia e delle Finanze, nonché docente universitario, fu da lui ripetutamente smentita per palese infondatezza. La funzione economica e sociale della cultura è alta, soprattutto in Italia. All’inverso si potrebbe dire, questa volta fondatamente, “senza cultura non si mangia”. Tra le tante forme che la cultura può assumere – umanistica, scientifica, filosofica, artistica – quella costantemente presente nel nostro paese è rappresentata dal patrimonio artistico. Frutto appunto del patrimonio culturale generale. La sua ricchezza, la sua attrattività sul piano internazionale, la presenza di innumerevoli siti Patrimonio dell’Unesco (circa 221 in Italia) rappresentano la materiale espressione dell’impegno culturale di generazioni storiche autoctone e straniere, presenti e succedutesi nel tempo in Italia. Il loro impegno, i sacrifici, le condanne sopportate, hanno forgiato la creatività del nostro popolo ed hanno anche condizionato lo sviluppo della cultura europea. E last but not least il nostro patrimonio culturale sostiene oggi una rilevante quota del PIL, ben il 17%.
La nostra identità culturale si è identificata con questo retaggio. Ha assunto positivi caratteri peculiari, portatrice di un consistente indotto economico oltre che puramente culturale. La molteplicità delle civiltà che si sono sovrapposte nel tempo hanno impresso i loro caratteri su questa identità. Il rispetto con cui le diverse testimonianze sono state conservate dalle successive generazioni ne ha forgiato il carattere inclinandolo alla tolleranza verso il diverso. Nella nostra Storia, salvo alcune parentesi rappresentate dal passaggio dal paganesimo al cristianesimo, dalle vandalizzazioni barbariche e dall’intervento personale di Maffeo V. Barberini (1568-1644), per la storia Papa Urbano VIII, e di altri potentati, non appaiono evidenti soppressioni sistematiche della memoria del passato, come è spesso avvenuto in altri contesti.
Qual’è il filo conduttore che presiede alle vicissitudini del nostro patrimonio culturale per secoli fino ai nostri giorni? Che parte ha avuto il “saccheggio”, sembrerà strano, nella tutela delle testimonianze del passato?
Il mecenatismo culturale può essere il nostro filo d’Arianna interpretativo. Mecenatismo come espressione del potere raggiunto nel campo politico o economico e come gratificazione estetica personale e collettiva. Come mezzo per l’acquisizione e la valorizzazione delle testimonianze del passato e del presente.
Il fenomeno, riconducibile fino al XIX secolo a ricchi aristocratici o borghesi a re o imperatori, è stato sostituito dall’intervento pubblico. La fondazione di musei privati, eretti ad Enti morali con decreti regi della fine del XIX ed inizio del XX secolo, si è ridotta in ragione dell’incremento della spese necessarie per la loro creazione e mantenimento. L’intervento pubblico in questo periodo ha sovrastato l’iniziativa privata nel campo.
In particolare, il primo gennaio del 1948 è entrata in vigore la nostra Costituzione il cui articolo 9 così recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” L’iniziativa pubblica in questo campo si è quindi ulteriormente dilatata nella seconda metà del secolo scorso. Poi ha dovuto fare i conti con l’insorgere della crisi economica agli inizi del secolo XXI. L’ambito dell’intervento pubblico si è così dovuto restringere, privilegiando la spesa corrente rispetto all’innovazione.
La presenza dominante del settore pubblico nel campo della cultura si è ridotta. L’equilibrio tra peso pubblico e privato si è invertito. Soprattutto nel settore della manutenzione del patrimonio artistico. Le sponsorizzazioni hanno acquisito ampio spazio. Numerosi monumenti oggi sono rivestiti di pubblicità che ne sponsorizza la manutenzione. A fronte di un welfare pubblico che si è contratto, si è dilatata la rete dall’intervento privato sostitutivo. La politica fiscale ha accompagnato questo processo.
Sul piano normativo è infatti emersa “la straordinaria necessità e urgenza di reperire risorse, anche mediante interventi di agevolazione fiscale, per garantire la tutela del patrimonio culturale della Nazione e lo sviluppo della cultura, in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione”, come ha evidenziato il Presidente della Repubblica nelle premesse del recente Decreto Cultura (D.L. 31 maggio 2014, n. 83). Con tale decreto e la relativa legge di conversione (Legge 29 luglio 2014, n. 106) è stato introdotto in Italia l’Istituto dell’Art Bonus.
La legge di Stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, co. 318) ha reso permanente e strutturale il sistema delle erogazioni liberali tramite l’Art Bonus finalizzato alla tutela del patrimonio culturale nazionale pubblico. In pratica il 65% delle erogazioni liberali a favore di soggetti pubblici culturali può essere portato stabilmente come credito d’imposta. La dimensione economica delle erogazioni liberali in Italia si è quindi consistentemente incrementata. In massima parte è stata alimentata dal grande mecenatismo di banche ed aziende. Il micro-mecenatismo, che riguarda personalmente i singoli, svolge ancora un ruolo marginale.
Molti gli elementi normativi interessanti da esaminare. Sono molte le forme di mecenatismo, storiche ed attuali, di erogazioni liberali, di best and worst practices, di sponsorizzazioni, di normative estere nel campo. L’osmosi di conoscenza in questo campo è produttiva di riflessioni per migliorare il sistema di tutela del patrimonio culturale, la sua produttività ed il coinvolgimento di singoli ed Istituzioni.